Articoli | 7 Febbraio 2025
Giornata Internazionale contro bullismo e cyberbullismo: i dati, le riflessioni e la futura norma
Facciamo il punto osservando in dettaglio le particolarità di questo fenomeno giovanile assieme a Giorgia Venerandi.


Giornata mondiale contro il bullismo e il cyberbullismo
Giorgia Venerandi
Avvocato, Dirigente di Konsumer Italia, partecipa al tavolo tecnico UNI/CT 038/GL 05 che ha come obiettivo la trasformazione della UNI/PdR 42:2018 “Prevenzione e contrasto al bullismo” in norma.
In occasione della Giornata Nazionale contro il Bullismo e il Cyberbullismo, abbiamo intervistato Giorgia Venerandi, avvocato penalista e figura di riferimento nel campo della tutela dei minori e dell’educazione digitale. Dirigente di Konsumer Italia, partecipa al tavolo tecnico UNI/CT 038/GL 05 ha come obiettivo la trasformazione della UNI/PdR 42:2018 “Prevenzione e contrasto al bullismo” in norma.
Grazie alla sua lunga esperienza, Giorgia Venerandi ha promosso policy e progetti innovativi per il contrasto a bullismo e cyberbullismo attraverso il sostegno alla genitorialità e la promozione di un uso consapevole delle tecnologie, focalizzandosi inoltre nel settore sportivo dedicato ai più piccoli. A tal proposito, ha recentemente partecipato come progettista a “Ethical Sport”, aggiudicandosi un bando della Presidenza del Consiglio dei Ministri per sviluppare attività di prevenzione e contrasto dei fenomeni di violenza tra pari in ambito sportivo.

Giorgia Venerandi durante le giornate di formazione con il progetto “Ethic Sport”
Con questo progetto ha potuto condurre a certificazione, con un team multidisciplinare di esperti, ben dieci palestre della Federazione Pugilistica Italiana, partner del progetto, tra le più popolate di minori, all’interno delle quali è stato adottato un modello organizzativo antiviolenza, con un focus chiaramente sui minori.
In questa intervista, ci racconta le sfide attuali legate al bullismo e al cyberbullismo, condividendo casistiche, strategie di intervento e riflessioni su come educare le nuove generazioni a relazioni rispettose e inclusive.
La cronaca ci consegna sempre più spesso notizie che riguardano atti di bullismo o cyberbullismo. Dal vostro angolo visuale, qual è la percezione del fenomeno? Ci può dare una definizione precisa del bullismo e del cyberbullismo?
“La tematica è certamente di grande attualità e forse oggi giorno tocca i suoi massimi stadi di allarme sociale. In Italia il 53% della popolazione giovanile, quindi più di un bambino/adolescente su due, è toccato da tale fenomeno (ISTAT 2015, ultimi dati disponibili).
Volendo elaborare una nozione di “Bullismo”, potremmo definirlo certamente come una “violenza tra pari”, dove la violenza è caratterizzata da sistematiche e reiterate azioni di sopruso e prevaricazione che vengono messe in atto da un bambino o da un adolescente, ai danni di un altro bambino o adolescente, che viene considerato più debole, laddove il primo è il cosiddetto bullo e il secondo è la vittima. Può essere promanazione del gesto di un singolo soggetto, così come di un gruppo, spesso definito “branco”.
Come è facile ricordare, tali condotte sono di fatto antiche come l’uomo. Si pensi ad esempio all’hobbesiano “Homo homini lupus”, che con tale espressione definiva l’egoistica natura umana, governata unicamente dall’istinto di sopravvivenza e l’istinto di sopraffazione, al punto che Hobbes arrivava finanche a negare che l’essere umano potesse in alcun modo avvicinarsi ad un suo simile sospinto da un amore naturale ed innato.
Del resto, persino il grande Edmondo De Amicis nel 1886, con il suo intramontabile libro “Cuore”, raccontava al mondo tutte le angherie commesse dal bullo Franti: “E’ malvagio. (…) quando uno piange, egli ride. (…) Provoca tutti i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e tira a far male. (…) Non teme nulla, ride in faccia al maestro, (…) è sempre in lite con qualcheduno, si porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini”.
Il bullo, quindi, è sempre esistito.
Il tipetto strafottente che ricorre alla forza per affermare sugli altri il proprio potere. Perché di potere si tratta o, meglio, della paura di non averne, perché magari quello stesso bullo subisce a sua volta prevaricazioni e soprusi in qualche altro contesto della sua vita.
Oggi, tuttavia, ci è richiesto di fare i conti non solo con la realtà offline, ma anche con un’altra realtà, erroneamente definita “virtuale”, che potremmo invece chiamare “parallela”, quella online, che di fatto di virtuale, specialmente in termini di conseguenze, ha molto poco, essendo totalmente “aumentata” nei suoi effetti e nei suoi esiti.
Il Cyberbullismo può essere considerato una delle massime espressioni dell’attuale degrado sociale, legato alla progressiva caduta dei modelli di riferimento, alla confusione dei ruoli, alla mancata accettazione dell’Autorità e delle Istituzioni, al rifiuto delle regole, tutte cartine tornasole queste di comportamenti sempre più violenti e aggressivi che si ritrovano nelle nuove generazioni.
E a porvi l’accento oggi più che mai è intervenuta finanche la pandemia, che ha relegato, per lungo tempo, dietro ad uno schermo i nostri giovani, con le loro emozioni e la loro solitudine.
L’abuso delle tecnologie impatta sulla psiche e sul corpo degli adolescenti, interferendo in maniera negativa sulla vita di tutti i giorni. Ai nostri giovani accade persino di entrare in stress, in ansia, anche solo per non avere tra le mani uno smartphone. La stessa ansia sale se si è per caso impossibilitati a connettersi alla Rete. Non parliamo, poi, del pensiero che il cellulare possa scaricarsi. Allora si scatenano rabbia e nervosismo, stati e comportamenti emozionali, cui oggi è associata una vera e propria patologia: la “nomofobia”, da “no-mobile” e “fobia”, ovvero la sensazione di angoscia legata all’essere, per qualche ragione, sconnessi dalla Rete. Patologia che genera sostanzialmente meccanismi neuronali analoghi a quelli delle tossicodipendenze, poiché la dipendenza tecnologica, alla stregua di quella da stupefacenti e da alcol, attiva la produzione di dopamina.
A dire il vero, la “nomofobia” è solo una delle patologie che oggi possono essere considerate frutto di una totale diseducazione all’utilizzo corretto del web e della tecnologia.
Il Cyberbullismo colpisce in Italia il 22,2% di tutte le vittime di bullismo, in una fascia di età compresa tra gli 11 ed i 17 anni.
Stiamo, quindi, parlando di un bullismo titolato dalla specialità del luogo nel quale avviene: il cyberspazio e in ciò si staglia la grande differenza con il primo.
Perché nel Cyberbullismo, per la vittima le derisioni, le prese in giro, i like assumono una connotazione senza spazio, né tempo. La persecuzione è continua, H 24, la vergogna è plateale. La vittima non è al sicuro, di fatto, neanche all’interno delle quattro mura del suo nido familiare, perché quel genere di violenza è invasiva, è pervasiva, e riesce ad attraversare anche quelle sacrosante pareti, in cui un tempo ci si sentiva protetti.
Il Cyberbullo, dall’altro lato, non ha la percezione del dolore causato alla vittima, complice l’incapacità di coniugare la dimensione reale con quella virtuale, l’assenza di contatto fisico, visivo ed emotivo. In fondo, tra lui e la vittima c’è uno schermo, a volte più di uno, se immaginiamo che un post può rimbalzare “N” volte da uno schermo all’altro, quando viene ripostato. Non lasciando tregua.
È così che il Cyberbullo perde il contatto emotivo con la sua vittima. È così che perde anche il contatto con le sue di emozioni. Ed è sempre così che la vittima, sovente giovanissima, dal canto suo quindi già in piena fase di sviluppo psico-emotivo, rimane impegolata dentro sé stessa, completamente incapace di reggere il proprio groviglio emotivo, persa nelle sue fragilità.
Perché, se è vero che nella Rete la violenza subita è solo psicologica, non significa affatto che per questo sia meno dolorosa e pervasiva, anzi tutt’altro, l’isolamento è la prima grande conseguenza. Non a caso, la frase “le parole fanno più male delle botte” è stato l’ultimo lascito di Carolina Picchio, che si è tolta la vita a 14 anni per la vergogna di vedere diffusi in Rete, ad opera di cinque coetanei, i suoi video e le sue foto intime. Parole, quelle di Carolina, che sottolineano come la potenza del dolore emotivo possa superare di gran lunga quello fisico.
Anche nel caso del Cyberbullismo, come già evidenziato per il Bullismo, diventa fondamentale la costruzione di una strategia preventiva che si articoli su più fronti, che passi dall’educazione all’utilizzo corretto della Rete e della tecnologia, con la comprensione dei suoi pregi e dei suoi pericoli, sino ad arrivare all’educazione emotiva.
Quali sono le conseguenze per le vittime di bullismo e cyberbullismo?
“Certamente gli argomenti da affrontare sul tema sono veramente molti, interessanti e multiformi: a partire dalle sue varie declinazioni, in bullismo indiretto o psicologico o femminile, al bullismo diretto o fisico o maschile, ma ancora in bullismo etnico, bullismo sessista, bullismo verso la disabilità e le incapacità, arrivando così all’incidenza che oggi il fenomeno ha a livello di pervasività sociale.
Negli ultimi 10 anni hanno visto la luce numerosi Centri e Associazioni dedicati al supporto a ragazzi e a famiglie che avevano avuto l’occasione, loro malgrado, di confrontarsi con tali problematiche che, di fatto, nel loro esito sintomatologico si estrinsecano spesso in casi di depressione infantile, rifiuto della scuola o della partecipazione a gruppi sportivi, crisi di ansia e di panico o al contrario attacchi di rabbia e aggressività.
I nostri ragazzi si mostrano sempre più fragili, vulnerabili, esposti. E se è vero che, come abbiamo detto poc’anzi, il bullismo esiste dalla notte dei tempi, è pur vero, d’altro canto, che oggi il fenomeno spaventa di più in ragione dei decisivi cambiamenti endemici avvenuti nella nostra società.
E la scuola, uno dei gangli sociali fondamentali, firmataria di un patto di corresponsabilità educativa con la famiglia, è oggi più in crisi che mai, mancano risorse materiali, umane e formative, e ciò la rende, quindi, assolutamente non in grado di assolvere a pieno al suo compito educativo, che dovrebbe essere istituzionalmente garantito, spesso portando via ai nostri ragazzi l’altro adulto di riferimento in cui rispecchiarsi, su cui contare: il maestro.
Non ci si stupisca, dunque, se la seconda causa di morte tra gli adolescenti, in un’età compresa tra i 14 ed i 19 anni è proprio il suicidio (dati Istat, Anno di riferimento 2018, ma la pandemia ha aggravato tali dati, facendo spazio anche all’incremento di condotte autolesionistiche). Ragazzini sempre più disorientati, lasciati in balia di sé stessi a gestire emozioni cui non sanno dare un nome, cui non sanno dare espressione, spesso ferme nella loro evoluzione al momento dell’istinto, ciò che viene oggi comunemente definito come “analfabetismo emotivo”. Finché, poi, con l’adolescenza giunge a compimento il naturale sviluppo ormonale, che li conduce dall’eteroregolazione all’autoregolazione e li trova completamente e drammaticamente impreparati al carico emotivo cui sono esposti. Così accade che molti non ce la fanno.
È un problema che colpisce i ragazzi, che non può lasciare indifferenti noi adulti.
Perché le conseguenze del bullismo, se non si interviene per tempo, anche se non sempre così estreme come ci racconta l’Istat, possono minare il futuro sia della vittima sia del bullo, creando problemi di ansia, depressione, difficoltà relazionali, gestione della rabbia e delle emozioni in genere, isolamento e comportamento antisociale per i giovani di oggi, ma anche per quelli che saranno gli adulti di domani.
Sono passati quasi 7 anni dalla pubblicazione della prassi UNI PdR 42. Pubblicato nel 2018, quanto è ancora attuale questo documento nella prevenzione e nel contrasto del bullismo?
La prassi UNI PdR 42:2018 rappresenta un importante punto di riferimento nella prevenzione e nel contrasto del bullismo, e la sua attualità resta significativa anche dopo quasi sette anni dalla sua pubblicazione. Questo documento fornisce linee guida pratiche che possono essere integrate nei contesti educativi e sociali per promuovere un ambiente sicuro e inclusivo. Le sue indicazioni aiutano a sensibilizzare le comunità sull’importanza di riconoscere e affrontare il bullismo in tutte le sue forme, in quella offline ed in quella online.
Tuttavia, l’efficacia di queste linee guida dipende fortemente dal contesto in cui sono immerse e quindi dall’azione dispiegata dalla “triade delle agenzie educative” costituzionalmente riconosciute: la famiglia, la scuola e lo sport.
Qui entra in gioco il loro ruolo cruciale. Le famiglie sono fondamentali nel creare un ambiente di supporto e comunicazione aperta, dove i ragazzi si sentano sicuri di condividere le loro esperienze. È essenziale che i genitori siano informati e coinvolti nelle attività preventive e nelle strategie di intervento. Ma soprattutto è essenziale che si lascino coinvolgere. Non si può sottacere che proprio i genitori sono spesso i grandi assenti di quel necessario momento educativo: disertano eventi organizzati dalla scuola, dalla struttura sportiva e finanche dall’oratorio.
La scuola, d’altra parte, dovrebbe essere incentivata all’adozione delle linee guida della prassi UNI PdR 42:2018, anche attraverso lo stanziamento di fondi nazionali, integrandole nei propri programmi educativi e nelle politiche scolastiche. Ciò implicherebbe non solo una formazione più in profondità del personale docente, ma anche l’implementazione di programmi di sensibilizzazione e intervento che coinvolgano attivamente gli studenti.
La stessa cosa vale per il mondo dello sport, nei confronti del quale lo Stato dovrebbe certamente investire di più. Recentemente colpito da una mastodontica riforma, nota al secolo come “Riforma dello Sport”, che gli è valsa finanche l’ingresso nella nostra Costituzione, assurgendo inequivocabile ad agenzia educativa a pieno titolo, ora merita di essere economicamente supportato, affinché si possa, anche nei contesti sportivi, contare sull’adozione di strumenti di prevenzione, gestione e controllo dei fenomeni di violenza tra pari, come la prassi UNI PdR 42:2018.
E questo oggi diventa ancor più cogente proprio alla luce della menzionata riforma, che ha imposto all’intero panorama sportivo italiano di munirsi obbligatoriamente di modelli organizzativi antiviolenza.

Giorgia Venerandi in occasione delle giornate di formazione nelle palestre per il progetto “Ethic Sport”
La prassi è in procinto di diventare una norma UNI. Cosa comporterà questa trasformazione, in particolar modo per le realtà non scolastiche, a livello di vantaggi e benefici?
“La trasformazione della prassi UNI PdR 42:2018 in una norma UNI rappresenta un passo significativo verso una maggiore formalizzazione e riconoscimento delle pratiche di prevenzione e contrasto del bullismo. Questa evoluzione comporterà diversi vantaggi e benefici, specialmente per le realtà non scolastiche.
1-L’adozione di una norma UNI fornirà un framework standardizzato che potrà essere applicato in vari contesti, come associazioni sportive, centri giovanili e comunità locali. Ciò significa che le organizzazioni avranno accesso a linee guida chiare e condivise per affrontare il Bullismo e il Cyberbullismo, facilitando così l’implementazione di misure preventive e interventi efficaci
2 – La formalizzazione della prassi in norma contribuirà a sensibilizzare maggiormente le realtà non scolastiche sul problema del Bullismo, rendendole più consapevoli della loro responsabilità nel garantire un ambiente sicuro per i giovani. Questo potrebbe tradursi in una maggiore collaborazione tra le scuole e le organizzazioni della comunità, promuovendo iniziative congiunte di sensibilizzazione e formazione.
3- L’adozione di una norma UNI potrà anche migliorare la reputazione delle organizzazioni che la implementano, rendendole più attrattive per i genitori e i giovani. Mostrare un impegno concreto nella prevenzione del Bullismo può rafforzare la fiducia e la partecipazione da parte della comunità.
In sintesi, la trasformazione della prassi in norma UNI non solo standardizzerà le buone pratiche, ma promuoverà anche un approccio più integrato e collaborativo nella lotta contro il Bullismo, portando benefici tangibili a tutte le realtà coinvolte.”
C’è qualche aspetto specifico che ritiene poco sviluppato nell’attuale analisi del cyberbullismo? C’è spazio per altri approfondimenti?
“Un aspetto specifico che ritengo poco sviluppato nell’attuale analisi del Cyberbullismo è la dimensione della prevenzione e dell’educazione continua. Spesso, i programmi di sensibilizzazione si concentrano su interventi reattivi, cioè su come rispondere agli episodi di Cyberbullismo una volta che si sono verificati.
Tuttavia, c’è bisogno di una maggiore attenzione alla formazione proattiva, che incoraggi i giovani a sviluppare competenze sociali ed emotive per riconoscere e affrontare comportamenti problematici prima che degenerino.
Inoltre, l’analisi del Cyberbullismo tende a focalizzarsi principalmente sugli effetti psicologici sulle vittime, ma c’è spazio per approfondire anche le esperienze di chi questi atti li commette. Comprendere le motivazioni che spingono alcuni ragazzi a comportarsi in modo aggressivo online può fornire informazioni preziose per la prevenzione.
In un contesto così tremendamente delicato, diventa chiave, dunque, il ruolo della formazione, che si ponga come obiettivo quello di veicolare ai nostri ragazzi, agli insegnanti e ai genitori le cosiddette “life skills”, cioè tutte quelle competenze cognitive, sociali, emotive e relazionali, affinché gli adulti di riferimento siano in grado, a loro volta, di trasmettere tali abilità ai propri studenti/figli, preparandoli ad affrontare le sfide della vita, permettendogli di rapportarsi a sé stessi e agli altri con fiducia nelle proprie capacità e con atteggiamento positivo e costruttivo.
Ebbene, tra le “life skills” imprescindibili risultano, da un lato, l’ascolto attivo, cioè la capacità di porre attenzione alla comunicazione dell’altro senza formulare giudizi.
Poi c’è la comunicazione, le varie tecniche applicabili e le diverse tipologie, tra cui in particolare l’assertività, quale capacità di affermare la propria posizione, la propria idea difendendola senza aggressività e rispettando al contempo la posizione altrui, ancorché diversa. In altri termini, affermare sé stessi senza prevaricare gli altri.
Non può trascurarsi, poi, l’intelligenza emotiva, ovvero “la capacità di un essere umano di distinguere, riconoscere, etichettare e gestire le emozioni proprie e degli altri”, secondo la definizione proposta dagli psicologi statunitensi Peter Salovey e John D. Mayer, già nel lontano 1990. Educarli ad una sana evoluzione dell’istinto in emozione, poi in sentimento e in stato d’animo.
È chiaro, dunque, che solo attraverso una collaborazione sinergica tra famiglie, scuole, sport e comunità possiamo sperare di affrontare in modo efficace il fenomeno del bullismo e creare un cambiamento duraturo, che non può prescindere dalla formazione quale momento di crescita personale, che sia generativo di quel cambiamento tanto auspicato.”